Un ammasso
stranamente
normale


Le condizioni che le stelle e il gas sperimentano in prossimità del centro galattico, lì dove risiede un buco nero supermassiccio di almeno 4 milioni di masse solari, non sono propriamente piacevoli. L'intensa attrazione gravitazionale esercitata dal buco nero attira immense quantità di materia verso un viaggio senza ritorno, mentre le stelle che vi si avvicinano troppo vengono distorte e smembrate prima di essere inghiottite. Eppure, già da qualche tempo è noto che in un ambiente così estremo si può assistere ai processi di formazione stellare che conducono alla nascita di nuove e luminose stelle. Gli astronomi erano però convinti che, proprio a causa delle particolari condizioni ambientali e sotto l'azione della gravità che in qualche modo interferisce con i meccanismi che favoriscono la contrazione del gas interstellare e la formazione di una nuova stella, gli ammassi neonati potessero avere caratteristiche diverse da quelle che si osservano negli ammassi situati a distanza di sicurezza, in regioni più periferiche della Galassia. Ma osservando con il Very Large Telescope dell'ESO l'Arches Cluster, un giovanissimo ammasso posto proprio in prossimità del buco nero centrale della Galassia, un team di astronomi guidato da Pablo Espinoza ha scoperto che il rapporto fra il numero di stelle massicce e quello di stelle di massa più piccola è del tutto simile a quello degli ammassi "normali". Di fatto, le condizioni ambientali davvero estreme paiono non influenzare i meccanismi di formazione stellare, cosa che finora proprio l’Arches Cluster sembrava smentire, vuoi per essere il più massiccio dei giovani ammassi aperti conosciuti (circa 10 volte più di un ammasso tipico), vuoi per la presenza nelle sue stelle di vari elementi più pesanti dell’elio.
L’Arches Cluster dista da noi circa 25mila anni luce, è composto da un migliaio di stelle di età non superiore ai 2,5 milioni di anni, la sua massa è di circa 30mila masse solari, è ampio 3 anni luce e la densità stellare al suo interno supera di un milione di volte quella presente nei dintorni del Sole.


Credit: ESO, P. Espinoza
 
    
Autore: Giuseppe Munno