Hubble Ultra Deep Field
 


La NASA ha rilasciato l’immagine più profonda dell’universo, ripresa nel vicino infrarosso dal telescopio spaziale Hubble con la nuova Wide Field Camera 3. Per riuscire a catturare quelle lontanissime galassie è stata necessaria un’esposizione complessiva di ben 173mila secondi, distribuita su quattro giorni (alla fine dello scorso agosto). L’immagine è in pratica l’equivalente infrarosso dell’Hubble Ultra Deep Field ripreso nella luce visibile nel 2004 e centrato sulla medesima regione di cielo, ampia 2,4 minuti d’arco, nella costellazione della Fornace. In realtà, fra le due riprese la più profonda è questa che presentiamo, infatti, proprio perché ripresa alle lunghezze d’onda infrarosse, ha permesso di catturare galassie più remote, fino a 600 milioni di anni dopo il Big Bang.
Ricordiamo che, a causa della continua espansione dell’universo, le galassie che ci appaiono più lontane sono quelle che si allontanano anche alla maggiore velocità e quindi quelle la cui radiazione luminosa appare più “stirata”, ovvero letteralmente allungata, col risultato che tutte le lunghezze d’onda risultano tanto più spostate verso il rosso e l’infrarosso quanto più distanti sono gli oggetti che osserviamo. Di conseguenza, un sensore sensibile all’infrarosso cattura galassie più lontane che non un sensore il cui picco di sensibilità cade nello spettro della luce visibile ai nostri occhi. Proprio perché l’infrarosso ci è invisibile, la ripresa effettuata dall’HST non aveva originariamente dei colori, e se ora la vediamo colorata è perché in fase di elaborazione alle immagini infrarosse vengono assegnati colori convenzionali in base alle lunghezze d’onda, nella fattispecie il blu corrisponde a 1.05 microns, il verde a 1.25 microns e il rosso 1.6 microns. Come si può notare, trattandosi di una traslazione della normale sequenza di colori, possiamo considerare realistici quelli risultanti nell’immagine.


Credit: NASA, ESA, G. Illingworth (UCO/Lick Observatory and the University of California, Santa Cruz), R. Bouwens (UCO/Lick Observatory and Leiden University), and the HUDF09 Team.
 
    
Autore: Michele Ferrara