A bordo dell’Ariane 5, il giorno 14 u.s. è stato lanciato dalla base
europea di Kourou, nella Guiana francese, il primo telescopio spaziale
europeo per lo studio della radiazione cosmica di fondo, quella che
costituisce il segnale più antico che riusciamo a cogliere sul primevo
universo. Planck, questo il nome dello strumento, era accompagnato dal
telescopio spaziale Herschel, destinato allo studio dell’universo
infrarosso.
Fin dalle prime teorie sull’evoluzione dell’universo, si era previsto che
ancora oggi dovrebbe esserci una traccia, un residuo di una radiazione
originata quando nel giovanissimo universo si formarono i primi atomi.
Secondo le teorie più avanzate, questa radiazione conserva in sé
tracce non solo delle caratteristiche dell’universo all’istante in cui
la radiazione si è resa libera dalla materia, ma anche indizi dei
principali eventi della storia antecedente quell’istante. Tale
radiazione, che se pur “raffreddata” dall’espansione dell’universo, è
giunta fino a noi, possiede tre caratteristiche importanti: lo spettro
della frequenza e le anisotropie spaziali di temperatura e
polarizzazione che si possono osservare a seconda della direzione in cui
l’antenna ricevente viene diretta.
La scoperta della radiazione cosmica di fondo avvenne da parte di A.
Penzias e R. Wilson nel 1964; da allora è stata sotto costante indagine
sia con strumentazione a terra sia con palloni sonda, ma i risultati più
interessanti si ottennero quando furono inviati nello spazio appositi
telescopi. Il satellite COBE negli anni 1990-1992 misurò con grande
precisione lo spettro delle frequenze e segnalò la presenza delle
anisotropie, sia pur con una bassa definizione. Nel 2001 la NASA ha poi
inviato nello spazio la sonda WMAP, che ha rilevato con buona
definizione le anisotropie di temperatura. E ora tocca al telescopio
Planck dell’ESA, che in sintesi è la somma di due strumentazioni, l’una
per tre bande a bassa frequenza, con 22 radio ricevitori (tipo HEMT) la
cui responsabilità è affidata al prof. Nazzareno Mandolesi, di Bologna,
l’altra con sei bande di alta frequenza, con 42 bolometri raffreddati a
0,1 K la cui responsabilità è del dr. Jean-Loup Puget, di Parigi.
La combinazione di un’alta sensibilità, di un’elevata risoluzione
angolare, di un’estesa banda di frequenze e di rivelatori sensibili alla
polarizzazione dovrebbe portare Planck a far misure tali da fornire un
decisivo progresso nella conoscenza delle condizioni e della prima
evoluzione dell’universo. Gruppi italiani delle università di Bologna,
Milano, Padova e Trieste sono pesantemente impegnati nella missione.
Dopo un lungo viaggio che durerà 3-4 mesi, Planck andrà a posizionarsi a
1,5 milioni di km dalla Terra, nel punto lagrangiano L2. Lì potrà essere
protetto dalle radiazioni provenienti dalla Terra e dal Sole, rivolgendo
in quella direzione sempre la sua base provvista di opportuno schermo e
potrà, ruotando su sé stesso al ritmo di un giro al minuto, cominciare a
mappare la radiazione a microonde proveniente da tutto il cielo. La sua
vita, dipendente dalle riserve di elio liquido necessarie a mantenere i
rivelatori a una temperatura prossima allo zero assoluto, sarà di circa un
anno e mezzo. Quotidianamente scaricherà i dati raccolti durante la
giornata verso la stazione ESA localizzata a New Norcia, in Australia;
da qui saranno inviati ai centri di elaborazione e di analisi, fra cui
gli italiani ISDC di Genova e OAT di Trieste. |