Non è mai stato così famoso dai tempi della sua scoperta (avvenuta
nell'ottobre del 2010 grazie al satellite Wide-field Infrared Survey
Explorer), e questo perché è finito sull'ultima copertina di luglio
della rivista Nature.
Stiamo parlando di 2010 TK7, un meteoroide di circa 300 metri di
diametro, che già pochi mesi dopo la sua individuazione è stato
inserito
nella ristretta cerchia degli Earth Co-orbital Asteroids (ECAs), per
il fatto di possedere un moto medio di rivoluzione in risonanza 1:1
con quello della Terra.
A dire il vero è il più interessante di tutti i suoi simili, dal
momento che il suo complessissimo moto, raffigurato (ed esagerato)
qui sopra in verde, risulta incentrato attorno al punto lagrangiano
L4 del nostro pianeta. In altre parole si tratta di un piccolo
"troiano", termine generico col quale si indicano gli asteroidi che
condividono, anche se non perfettamente, la loro orbita con quella
dei pianeti, sempre precedendo o seguendo questi ultimi di 60° (in
media), posizione che li mette al riparo per tempi solitamente
lunghissimi da impatti con i pianeti stessi.
Dopo aver scoperto troiani sulle orbite di Giove, Marte e Nettuno, a
cominciare nel 1906 dal greco 588 Achilles (un tempo si
distinguevano i "greci" dai "troiani"), ecco che anche la Terra ha
ora il suo primo troiano, benché di dimensioni di gran lunga
inferiori a quelle dei suoi lontani omologhi.
A determinare l'altalenante moto orbitale di 2010 TK7 sono
stati Martin Connors (Athabasca University, Alberta, Canada)e Christian Veillet
(direttore del Canada-France-Hawaii Telescope, Hawaii). Le loro
osservazioni sono poi servite a Paul Wiegert (The University of Western Ontario,
Canada) per simulare il percorso orbitale completo. Attualmente
l'oggetto (rappresentato da un dischetto bianco nell'illustrazione) si trova
ben oltre i 20 milioni di km che rappresentano la distanza limite al
di sotto della quale non scenderà nei prossimi 10.000 anni.
Non sappiamo da quanto tempo 2010 TK7 è un troiano della Terra, né
quanto a lungo lo resterà, e nemmeno se ve ne sono altri. E'
probabile che su tempi scala inferiori alle centinaia di milioni di
anni le perturbazioni gravitazionali dei pianeti finiranno col
renderne l'orbita caotica. |