18 Feb. 2011

 

La prima immagine della magnetosfera

 

Sono state due camere da ripresa, a pixel singolo, frutto di una tecnologia rivoluzionaria, a farci vedere per la prima volta come è fatta e come si comporta “dal vivo” un’ampia regione della magnetosfera terrestre.
Come noto, la magnetosfera è il risultato dell’interazione del campo magnetico generato per effetto dinamo dalla rotazione del nucleo terrestre con gli atomi e le particelle elementari provenienti dal cosmo, principalmente con i componenti del vento solare. La forma e l’intensità della magnetosfera (ricorda una medusa con la testa rivolta verso il Sole) sono prevalentemente note per via teorica e riscontrate con misurazioni locali effettuate da vari satelliti, ma il suo aspetto complessivo in un dato momento ci è sempre stato precluso, non emettendo quella che per noi è luce visibile.
Per colmare questa lacuna è stato realizzato l’Interstellar Boundary Explorer (IBEX), un satellite con sensori in grado di registrare atomi neutri ad alta energia (Energetic Neutral Atom imaging). Si tratta di atomi appartenenti all’atmosfera più esterna e accelerati ad alte velocità da collisioni con particelle cariche provenienti dallo spazio.
Quando la pressione del vento solare aumenta, l’energia trasportata dal plasma lungo le linee del campo magnetico può accumularsi e creare fenomeni molto interessanti soprattutto nella coda della magnetosfera, dove le linee sono più distese ma anche più sensibili a disequilibri energetici del plasma che vi si incanala.
Uno di quei fenomeni consiste nella disconnessione esplosiva di tratti della coda, con risultante dispersione nello spazio dell’eccesso di energia, ed eventualmente di tratti delle linee di forza del campo magnetico con annessi plasma e atomi neutri. Un evento di questo tipo (creazione di un “plasmoide”) è visibile proprio nella prima immagine magnetosferica (in alto) prodotta tramite IBEX da un team di ricercatori guidati da David McComas, principal investigator della missione.
Riuscire a osservare sistematicamente eventi del genere, permetterà di effettuare previsioni sempre più accurate del cosiddetto meteo spaziale (space weather), e rendere quindi più sicure le attività astronautiche e aeronautiche. I risultati del lavoro di McComas e colleghi sono stati pubblicati l’altro ieri su Journal of Geophysical Research.

 

by Michele Ferrara & Marcel Clemens

credit: Southwest Research Institute/IBEX Science Team