22 Feb. 2011

 

Pianeti vagabondi ospiterebbero la vita

 

Ricordate la serie televisiva "Spazio 1999"? Una spaventosa esplosione di scorie nucleari avvenuta sulla Luna, fa uscire il nostro satellite dalla sua orbita, e inizia per gli abitanti della base lunare Alpha un lungo girovagare nel cosmo, alla scoperta di nuovi mondi e nuove civiltà. Curiosamente, la base continua a risultare illuminata da non meglio precisate fonti di luce, mentre se un evento del genere dovesse mai succedere, il buio e il gelo più profondi avvolgerebbero ben presto il satellite.
La stessa cosa accadrebbe se, per ipotesi, fosse la Terra ad allontanarsi dal Sole: diventerebbe una palla di ghiaccio come quella raffigurata qui sopra.
Ma quella che sembra pura fantascienza, potrebbe essere invece realtà per un numero elevatissimo di pianeti. Diversi modelli di evoluzione dei sistemi planetari prevedono che nella fase di migrazione delle orbite alcuni pianeti possano essere espulsi, svincolandosi dal legame gravitazionale con la stella centrale e quindi ritrovandosi costretti a vagare nel gelido spazio interstellare.
Partendo da questo presupposto, Dorian Abbot e Eric Switzer, della University of Chicago, avanzano l'ipotesi che quei pianeti vagabondi possano comunque conservare a lungo una fonte di calore interna, sufficiente a mantenere l'eventuale acqua presente allo stato liquido, e forse anche a favorire il nascere e lo sviluppo di forme di vita.
I calcoli sviluppati dai due ricercatori, prevedono una serie di ragionevoli parametri affinché quel tipo di pianeti possa autosostenere un ecosistema. Se la quantità di acqua superficiale è paragonabile a quella della Terra, un corpo di 3,5 masse terrestri riesce a mantenere un oceano al di sotto di uno spessissimo strato di ghiaccio. La massa planetaria richiesta scende invece a 0,3 masse terrestri se la quantità di acqua è dieci volte maggiore.
In questi casi limite e in tutti quelli intermedi, una spessa atmosfera ghiacciata aiuterebbe a creare uno strato isolante particolarmente efficiente. Al di sotto dello spessissimo strato di ghiaccio, nei pressi della superficie rocciosa, flussi geotermici generati nel mantello dal decadimento di elementi radioattivi (come 40K, 238U, 232Th) e trasportati verso l'alto attraverso la conduzione sono in grado di mantenere una consistente quantità di acqua allo stato liquido per un periodo variabile (a seconda della massa planetaria) da 1 a 5 miliardi di anni.
Un tempo così lungo è più che sufficiente alla nascita di forme di vita elementare, forse in prossimità di fonti idrotermali, cosa molto probabilmente già accaduta sulla Terra. Ecco dunque che al diffondersi della vita nel cosmo potrebbe non servire né una stella vicina e nemmeno un'orbita inclusa nella zona di abitabilità. Una vera rivoluzione concettuale.
In pratica, verificare la suggestiva ipotesi di Abbot e Switzer è attualmente impossibile, anche se la possibilità che un pianeta vagabondo con vita a bordo sarebbe da noi individuabile se passasse entro 1000 unità astronomiche dalla Terra è davvero intrigante.

 

by Michele Ferrara & Marcel Clemens

credit: University of Chicago