Ricordate la serie televisiva "Spazio 1999"? Una spaventosa
esplosione di scorie nucleari avvenuta sulla Luna, fa uscire il
nostro satellite dalla sua orbita, e inizia per gli abitanti della base
lunare Alpha un lungo girovagare nel cosmo, alla scoperta di nuovi
mondi e nuove civiltà. Curiosamente, la base continua a risultare
illuminata da non meglio precisate fonti di luce, mentre se un
evento del genere dovesse mai succedere, il buio e il gelo più
profondi avvolgerebbero ben presto il satellite.
La stessa cosa accadrebbe se, per ipotesi, fosse la Terra ad
allontanarsi dal Sole: diventerebbe una palla di ghiaccio come
quella raffigurata qui sopra.
Ma quella che sembra pura fantascienza, potrebbe essere invece realtà
per un numero elevatissimo di pianeti. Diversi modelli di evoluzione
dei sistemi planetari prevedono che nella fase di migrazione delle
orbite alcuni pianeti possano essere espulsi, svincolandosi dal
legame gravitazionale con la stella centrale e quindi ritrovandosi costretti a
vagare nel gelido spazio interstellare.
Partendo da questo presupposto, Dorian Abbot e Eric Switzer, della University of Chicago,
avanzano l'ipotesi che quei pianeti vagabondi possano comunque
conservare a lungo una fonte di calore interna, sufficiente a
mantenere l'eventuale acqua presente allo stato liquido, e forse
anche a favorire il nascere e lo sviluppo di forme di vita.
I calcoli sviluppati dai due ricercatori, prevedono una serie di
ragionevoli parametri affinché quel tipo di pianeti possa
autosostenere un ecosistema. Se la quantità di acqua superficiale è
paragonabile a quella della Terra, un corpo di 3,5 masse terrestri
riesce a mantenere un oceano al di sotto di uno spessissimo strato
di ghiaccio. La massa planetaria richiesta scende invece a 0,3 masse
terrestri se la quantità di acqua è dieci volte maggiore.
In questi casi limite e in tutti quelli intermedi, una spessa
atmosfera ghiacciata aiuterebbe a creare uno strato isolante
particolarmente efficiente. Al di sotto dello spessissimo strato di
ghiaccio, nei pressi della superficie rocciosa, flussi geotermici
generati nel mantello dal decadimento di elementi radioattivi (come
40K, 238U, 232Th) e trasportati
verso l'alto attraverso la conduzione sono in grado di mantenere una consistente quantità di
acqua allo stato liquido per un periodo variabile (a seconda della
massa planetaria) da 1 a 5 miliardi di anni.
Un tempo così lungo è più che sufficiente alla nascita di forme di
vita elementare, forse in prossimità di fonti idrotermali, cosa
molto probabilmente già accaduta sulla Terra.
Ecco dunque che al diffondersi della vita nel cosmo potrebbe non servire
né una stella vicina e nemmeno un'orbita inclusa nella zona di
abitabilità. Una vera rivoluzione concettuale.
In pratica, verificare la suggestiva ipotesi di Abbot e Switzer è
attualmente impossibile, anche se la possibilità che un pianeta
vagabondo con vita a bordo sarebbe da noi individuabile se passasse
entro 1000 unità astronomiche dalla Terra è davvero intrigante. |