24 Gen. 2011

 

Galassie attive svelate dai raggi X 

 

Usciranno il 10 febbraio su The Astrophysical Journal (primo firmatario Davide Burlon) i risultati di un'analisi dei dati raccolti dal satellite per raggi X Swift, che dimostrano come un consistente numero di galassie attive sfuggono all'osservazione diretta.
A partire dal 2004 Swift ha realizzato la più completa mappa dell'emissione X dell'intero cielo, a energie comprese fra 15mila e 200mila eV, che conferma un segnale di fondo diffuso non attribuibile a sorgenti già note.
Pur includendo centinaia di nuclei galattici attivi, e dunque di quei buchi neri supermassicci che sono considerati fra i principali responsabili della luce X diffusa nell'universo, i dati raccolti da Swift suggeriscono la presenza di ulteriori sorgenti che però risultano invisibili a tutte le frequenze basse e fino ai raggi X di minore energia.
Anche dove non rilevabile direttamente, la presenza di un nucleo galattico attivo dovrebbe essere dimostrabile attraverso la radiazione infrarossa emessa dalle polveri che lo circondano e che vengono riscaldate dalla sua azione, ma quel segnale si confonde con quello emesso dalle regioni di produzione stellare ed è praticamente inservibile.
Per far luce sulla questione, un gruppo internazionale di ricercatori, fra i quali Neil Gehrels (principal investigator di Swift), ha esaminato la componente X più energetica contenuta nella mappa, scoprendo circa una decina di sorgenti che sono risultate essere galassie attive, il cui nucleo è però praticamente soffocato da una coltre di polveri, che lascia passare solo i raggi X più duri.
Estrapolando il numero di sorgenti simili potenzialmente esistenti nell'universo, Geherels e colleghi calcolano che le galassie attive esistenti potrebbero essere complessivamente dal 20% al 30% più numerose di quanto sinora ritenuto, e il motivo per cui molte rimangono nascoste sarebbe da attribuire principalmente all'inclinazione con la quale si presentano rispetto alla nostra linea visuale, fattore che sarebbe in parte all'origine anche della varietà di tipologie con cui si presentano le galassie attive già note.
Se le stime del team di Geherels sono applicabili all'universo degli ultimi 7 miliardi di anni, la radiazione di fondo cosmica a raggi X trova una soddisfacente spiegazione, come dimostra anche il grafico in alto, dove è evidenziata la netta similitudine fra la forma dello spettro di tale radiazione e quella dello spettro nei nuclei galattici attivi pesantemente schermati dalle polveri.

 

by Michele Ferrara & Marcel Clemens

credit: NASA/Goddard Space Flight Center