Usciranno il 10
febbraio su The Astrophysical Journal (primo firmatario Davide Burlon) i risultati di un'analisi dei dati
raccolti dal satellite per raggi X Swift, che dimostrano come un
consistente numero di galassie attive sfuggono all'osservazione diretta.
A partire dal 2004 Swift ha realizzato la più completa mappa
dell'emissione X dell'intero cielo, a energie comprese fra 15mila e
200mila eV, che conferma un segnale di fondo diffuso non attribuibile a
sorgenti già note.
Pur includendo centinaia di nuclei galattici attivi, e dunque di quei
buchi neri supermassicci che sono considerati fra i principali
responsabili della luce X diffusa nell'universo, i dati raccolti da
Swift suggeriscono la presenza di ulteriori sorgenti che però risultano
invisibili a tutte le frequenze basse e fino ai raggi X di minore
energia.
Anche dove non rilevabile direttamente, la presenza di un nucleo
galattico attivo dovrebbe essere dimostrabile attraverso la radiazione
infrarossa emessa dalle polveri che lo circondano e che vengono
riscaldate dalla sua azione, ma quel segnale si confonde con quello
emesso dalle regioni di produzione stellare ed è praticamente
inservibile.
Per far luce sulla questione, un gruppo internazionale di ricercatori,
fra i quali Neil Gehrels (principal investigator di Swift), ha esaminato
la componente X più energetica contenuta nella mappa, scoprendo circa
una decina di sorgenti che sono risultate essere galassie attive, il cui
nucleo è però praticamente soffocato da una coltre di polveri, che
lascia passare solo i raggi X più duri.
Estrapolando il numero di sorgenti simili potenzialmente esistenti
nell'universo, Geherels e colleghi calcolano che le galassie attive
esistenti potrebbero essere complessivamente dal 20% al 30% più numerose
di quanto sinora ritenuto, e il motivo per cui molte rimangono nascoste
sarebbe da attribuire principalmente all'inclinazione con la quale si
presentano rispetto alla nostra linea visuale, fattore che sarebbe in
parte all'origine anche della varietà di tipologie con cui si presentano
le galassie attive già note.
Se le stime del team di Geherels sono applicabili all'universo degli
ultimi 7 miliardi di anni, la radiazione di fondo cosmica a raggi X
trova una soddisfacente spiegazione, come dimostra anche il grafico in
alto, dove è evidenziata la netta similitudine fra la forma dello
spettro di tale radiazione e quella dello spettro nei nuclei galattici
attivi pesantemente schermati dalle polveri. |