28 Gen. 2011

 

Impatto su Giove: era un asteroide

 

Il 19 luglio 2009, fra le 9 e le 11 UTC, un piccolo corpo celeste andò a disintegrarsi nell'atmosfera di Giove. Ad accorgersi per primo dell'evento fu un astrofilo australiano, Anthony Wesley, che informò rapidamente i ricercatori professionisti, fra i quali Glenn Orton, astronomo presso il Jet Propulsion Laboratory della NASA.
Orton, in collaborazione con Leigh Fletcher (Oxford University, U.K.) e altri colleghi, ha da subito seguito le tracce della collisione con l'Infrared Telescope Facility (Mauna Kea, Hawaii), sollecitando osservazioni anche con altri grandi telescopi, come i due Gemini e il VLT. Dalla mole di dati che vennero raccolti nelle settimane successive è stato possibile trarre conclusioni piuttosto inattese, rese pubbliche attraverso due articoli scientifici recentemente apparsi su Icarus.
La prima impressione subito dopo l'impatto fu che potesse essersi ripetuto, in scala minore, quanto già capitato nel 1994, ossia la caduta su Giove di un nucleo cometario. C'erano infatti similitudini fra le tracce osservate dal team di Orton e quelle prodotte dall'impatto della Shoemaker-Levy 9: rilascio di detriti scuri e di ammoniaca in atmosfera, con riscaldamento della stratosfera attorno all'area colpita.
Un'analisi più accurata ha però dimostrato che nel 2009 i detriti non sono saliti altrettanto in alto, quasi certamente perché più pesanti, e che a riscaldarsi non è stata tanto l'alta stratosfera (come nel caso della S-L 9), quanto piuttosto la bassa stratosfera (di 3-4 Kelvin). Inoltre, l'impatto più recente ha prodotto evidenti tracce di idrocarburi, silicati e silice, mentre è risultato assente il monossido di carbonio, fatti che indicano un oggetto impattatore fortemente impoverito di acqua e dalla struttura rocciosa, insomma più un asteroide che una cometa.
Gli elementi raccolti portano a concludere che un piccolo asteroide di 200-500 metri di diametro, con densità di circa 2,5 g/cm3, sia penetrato in profondità nell'atmosfera gioviana, producendo un'esplosione misurabile in 5 gigaton di TNT. L'energia dell'impatto ha trasformato parte del silicio componente l'asteroide in silice (SiO
2), scagliando questo sottoprodotto, assieme agli altri elementi rilevati, lungo il tunnel scavato nell'atmosfera dall'asteroide stesso, e quindi verso lo spazio esterno.
Valutando una serie di possibili orbite compatibili con la geometria dell'impatto, Orton e colleghi hanno infine scoperto che una di quelle orbite è assimilabile a quella caotica dell'asteroide 2005 TS
100, che più volte a sperimentato incontri molto ravvicinati col pianeta gigante. Ennesima dimostrazione del fatto che ancora oggi non sono solo le comete della famiglia di Giove a rischiare disastrosi impatti.

 

by Michele Ferrara & Marcel Clemens

credit: NASA/IRTF/JPL-Caltech/University of Oxford