La formazione di nuove stelle
nelle galassie primordiali e la conseguente crescita di queste
ultime non sono unicamente legate al fenomeno della fusione fra
galassie minori, come finora creduto, e forse quel fenomeno non è
nemmeno la causa principale.
La sorprendente rivelazione giunge da una ricerca effettuata con lo
Spitzer Space Telescope su un campione di 70 galassie remote,
visibili in un universo con età compresa fra 1 e 2 miliardi di anni.
Fra gli autori della ricerca, i cui risultati saranno pubblicati su The Astrophysical Journal,
ci sono Ranga-Ram Chary e
Hyunjin Shim, del NASA's Spitzer Science Center
al California Institute of Technology di Pasadena.
Il 70% delle galassie osservate mostra un'intensa luminosità nella
regione rossa e infrarossa dello spettro elettromagnetico, con un
picco nella riga H-alfa dell'idrogeno ionizzato, un fatto di per sé
già insolito, dal momento che nell'universo a noi contemporaneo
l'impronta dell'H-alfa è così marcata solo nello 0,1% delle galassie.
Poiché l'intensa emissione in quella determinata riga spettrale nel
campione di galassie considerato può essere stimolata essenzialmente
da atomi di idrogeno investiti dalla radiazione ultravioletta
proveniente da giovani e massicce stelle, se ne deduce che alti
livelli di H-alfa corrispondono a un elevato tasso di formazione
stellare.
Nelle remote galassie osservate da Chary,
Hyunjin e colleghi, stanno dunque nascendo nuove stelle a ritmi
imprevisti dalle teorie più in auge, addirittura 100 volte superiori
a quelli della nostra galassia (dove nascono non più di una decina
di stelle all'anno). Ancor più inatteso è il fatto che l'intensa
formazione stellare sembra poter perdurare per centinaia di milioni
di anni.
Le galassie primordiali non si sarebbero dunque accresciute
attraverso periodi di iperattività dovuti a fusioni di galassie
minori, bensì grazie a una continua e meno appariscente formazione
di nuovi astri di grandi dimensioni. Galassie quindi molto più blu e
meno ricche di gas, come indica l'illustrazione in alto, che mostra
come apparirebbe la stessa galassia oggi (metà di sinistra) e nel
giovane universo (metà di destra).
Ma da dove viene tutta la materia necessaria a rendere conto del
fenomeno osservato? Gli autori della ricerca ipotizzato flussi
derivanti da filamenti di materia oscura, ma una spiegazione
esauriente sembra piuttosto lontana. |