31 Mar. 2011

 

Un'altra supernova super luminosa

 

Sono stati pubblicati su The Astrophysical Journal i risultati dell'analisi condotta da Emmanouil "Manos" Chatzopoulos e da J. Craig Wheeler (The University of Texas at Austin) sui dati osservativi della supernova 2008am, che è risultata essere una delle più brillanti finora scoperte e come tale appartenente alla classe delle SLSNe (Super-Luminous SuperNovae).
Questa rarissima classe di supernovae annovera solo una dozzina di esemplari, cinque delle quali scoperte dal
ROTSE Supernova Verification Project (che utilizza il 18-inch robotic ROTSE IIIb del McDonald Observatory), comprese le prime due in assoluto, la SN 2005ap e la SN 2006gy.
Oltre ad essere fino a 100 volte intrinsecamente più luminose delle classiche "core-collapse SN", le
SLSNe possono arrivare ad avere progenitori anche oltre 10 volte più massicci (oltre 100 masse solari contro 10-20 masse solari) e non tutti dello stesso tipo, come l'attuale limitata casistica sembra chiaramente suggerire. Allo stato attuale delle conoscenze, le SLSNe sembrano avere in comune solo l'estrema luminosità.
Nel caso specifico della SN 2008am,
Chatzopoulos e Wheeler ipotizzano che il progenitore possa essere una massiccia variabile blu di grande luminosità, categoria di stelle la cui peculiarità è quella di andare soggetta a periodiche e considerevoli espulsioni di gusci gassosi, esattamente ciò che avviene nel caso di Eta Carinae. Quando al termine della sua esistenza la stella esplode, il materiale eiettato nello spazio ad elevatissima velocità travolge gli assai più lenti gusci gassosi rilasciati in precedenza. L'interazione è talmente energetica da elevare a tal punto la luminosità della supernova da renderla equiparabile a oltre 100 miliardi di stelle come il Sole.
A causa della sua rilevante distanza dalla Terra, ben 3,7 miliardi di anni luce, per studiare adeguatamente la SN 2008am è stato presto necessario utilizzare alcuni dei più grandi osservatori al suolo (come il Keck, che ha preso l'immagine qui sopra) e anche il satellite Swift.
I risultati ottenuti da Chatzopoulos e Wheeler sembrano spiegare l'origine della metà delle
SLSNe note, ma chiaramente ciò che a questo punto intriga di più è sapere come si sono formate le altre. L'unica certezza è che il tradizionale modello con cui viene descritto il fenomeno supernova non sembra applicabile alle SLSNe e sarà quindi necessario considerare altri meccanismi fisici.

 

by Michele Ferrara & Marcel Clemens

credit: D. Perley & J. Bloom/W.M. Keck Observatory