"Immaginate la Terra come se fosse immersa nel miele. Ruotando sul
proprio asse e orbitando attorno al Sole, il miele intorno ad essa
dovrebbe deformarsi e invorticarsi. E' ciò che accade allo
spazio-tempo". L'esempio è di Francis Everitt, fisico della Stanford
University (California) e principal investigator della missione Gravity Probe B.
Iniziata nel 2004 e terminata nel dicembre scorso, questa missione
aveva fra gli obiettivi principali quello di confermare due
previsioni chiave derivanti dalla teoria della relatività generale
di Einstein, esattamente quelle citate da Everitt, ovvero
l'esistenza di una deformazione spaziotemporale attorno alla Terra e
il trascinamento dello spazio-tempo nel moto rotatorio del nostro
pianeta.
Il principale ostacolo da superare per raggiungere l'obiettivo era
la piccolissima entità dei fenomeni da misurare. A questo scopo
erano stati realizzati 4 giroscopi di estrema precisione, che
montati sul Gravity Probe B hanno tenuto costantemente puntata la
stella IM Pegasi dall'orbita polare in cui il satellite operava.
Nel caso Einstein avesse avuto torto, i giroscopi avrebbero puntato
sempre la stella per l'intera durata della missione, se invece
quelle specifiche previsioni derivanti dalla sua teoria fossero
state esatte la gravità terrestre avrebbe apportato variazioni
infinitesime, ma misurabili, nella direzione del loro moto
rotatorio, fatto puntualmente verificatosi.
Al di là dell'aver confermato ancora una volta la validità della teoria di
Einstein, i risultati ottenuti da questa missione avranno
applicazioni dirette nella vita di tutti i giorni, ad esempio in
ambito di GPS. Non meno interessante la ricaduta a livello di
ricerca astrofisica, dove l'applicazione di tecnologie derivanti dal
Gravity Probe B ha permesso, fra l'altro, una più accurata
misurazione della radiazione di fondo cosmica, che ha portato
all'assegnazione del premio Nobel al fisico della NASA
John Mather. |