28 Ott 2011

 

Più chiarezza sul merging fra galassie

 

Il tema della formazione e dell'accrescimento delle galassie è sicuramente fra quelli più dibattuti della moderna cosmologia e molti suoi aspetti vengono interpretati con modelli matematici che partono da presupposti diversi per poi arrivare alle stesse conclusioni, oppure con approcci meno teorici, come ad esempio la catalogazione delle galassie sulla base delle loro caratteristiche fisiche e morfologiche, che pur adottando procedure sostanzialmente simili, portano a risultati sensibilmente diversi. E' il caso quest'ultimo del merging, visto come meccanismo di accrescimento complementare alla tipica raccolta di gas intergalattico, attraverso il quale normalmente le galassie aumentano la propria massa.
Fino ad oggi, se si tentava di stimare dall'osservazione diretta il tasso di accrescimento da merging si ottenevano valori contrastanti a seconda che si prendessero in considerazione i soggetti chiaramente in interazione, circa il 5% del totale, oppure i soggetti senza evidenti interazioni ma con una struttura disturbata da eventi più o meno remoti, circa il 25% del totale.
Per poter capire qual è l'effettivo tasso di crescita delle galassie dovuto alla componente merging era indispensabile trovare riscontro alle due stime in un unico scenario, dando per certo che quelle fotografassero istanti diversi di una più lunga e complessa storia evolutiva. E' ciò che ha fatto un gruppo di ricercatori (appartenenti a vari istituti americani legati alla NASA) guidati da Jennifer Lotz. Ricorrendo a complesse simulazioni che hanno incluso l'evoluzione delle più tipiche componenti galattiche, ovvero stelle e polveri, e rianalizzando osservazioni precedenti e immagini prese dal telescopio spaziale Hubble, il team di ricercatori è stato in grado di valutare la lunghezza del periodo di tempo entro il quale gli effetti del merging sono osservabili, confermando che le stime precedenti si adattano perfettamente a tempi diversi della simulazione e che quindi sono entrambe valide.

 

by Michele Ferrara & Marcel Clemens

credit: NASA, ESA, J. Lotz (STScI), M. Davis (University of California, Berkeley), and A. Koekemoer (STScI)