Fra il 23 e il 24 settembre,
l'Upper Atmosphere Research Satellite (UARS) rientrerà
nell'atmosfera terrestre e si disintegrerà quasi completamente.
Sottolineiamo il "quasi" perché i tecnici della NASA stimano che 26
parti del satellite statunitense non bruceranno completamente e
dunque potranno raggiungere il suolo.
Questo fatto sta destando una certa preoccupazione perché ancora non
è dato sapere dove i vari frammenti precipiteranno. La vivace
attività solare dell'ultima settimana ha infatti innescato un
leggero rigonfiamento della nostra atmosfera, che per l'aumentato
attrito sta anticipando di varie ore il previsto rientro del
satellite, rendendo possibile stabilire i tempi di caduta, e quindi
i luoghi da essa interessati, non prima di due ore dall'inizio della
caduta stessa, un lasso di tempo insufficiente ad allertare
adeguatamente la popolazione di eventuali centri abitati interessati
dall'evento.
E che i rottami dell'UARS possano precipitare in aree abitate non
può essere affatto escluso, poiché è certo che raggiungeranno il
suolo fra 57° nord e 57° sud di latitudine (dove è distribuita la
gran parte della popolazione mondiale), sparpagliandosi su una
fascia lunga 800 km e ampia forse qualche centinaio di km.
La probabilità che un frammento possa colpire un essere umano è data
1 a 3200, tutto sommato bassa ma pur sempre tre volte superiore a
quella che la NASA si pone come limite per le operazioni di rientro
dei satelliti in atmosfera.
L'UARS era stato portato in orbita nel 1991 dallo shuttle Discovery
e aveva studiato fino al 2005 l'alta atmosfera con 10 strumenti
scientifici, riservando particolare attenzione allo strato di ozono.
Con le sue quasi 6 tonnellate di peso, distribuite su una lunghezza
massina di 10 metri (illustrazione in alto), non sarà fra i
satelliti più grandi ricaduti al suolo, ma l'imprevedibilità del
preciso istante in cui ciò avverrà farà stare ancora per qualche
giorno con il fiato sospeso. |