Se è vero che non è possibile
raccogliere informazioni luminose provenienti direttamente dal corpo
oscuro di un buco nero, è altrettanto vero che le più recenti
osservazioni effettuate dai telescopi orbitali hanno ormai portato
gli astronomi a conoscere molto bene ciò che sta praticamente a contatto con
quegli esotici oggetti, ovvero dischi di accrescimento e getti di
materia. In questo ambito si inseriscono i risultati di una ricerca
appena pubblicata su The Astrophysical Journal Letters e realizzata
da un team di ricercatori JAXA/NASA sulla base di dati raccolti dal
satellite per astronomia infrarossa WISE.
La ricerca descrive con un dettaglio mai raggiunto in precedenza la
base dei getti di materia che si irradiano dal buco nero GX 339-4,
un oggetto di almeno 6 masse solari, nato dal collasso esplosivo di
una stella gigante situata nei pressi del centro galattico, a oltre
20.000 anni luce dal nostro pianeta.
I getti di GX 339-4 erano già noti da precedenti osservazioni
effettuate ad alte energie (gamma e X) e nel radio, ma il
comportamento della componente più brillante, ovvero della base dei
getti (l'ambiente direttamente a contatto del buco nero, quello più
ricco di informazioni), era finora sfuggito e solo grazie alle
immagini infrarosse di WISE è stato possibile mettere in evidenza
cicli variabilità luminosa compresi fra 11 secondi (l'intervallo
minino entro il quale il telescopio acquisisce immagini) e alcune
ore.
Intrepretando opportunamente le variazioni luminose, i ricercatori
sono stati in grado di stimare che la base dei getti ha un diametro
di circa 24.000 km e che per accelerare e incanalare la quantità di
materia presente nei getti è necessario un campo magnetico 30.000
più intenso di quello terrestre.
Per dare un'idea della difficoltà di osservare una struttura così
piccola a una distanza così grande, basta dire che è come osservare
una moneta da 10 centesimi alla distanza del Sole! |