E' stata solo un'ipotesi per oltre 40 anni, ma ora la possibilità di
misurare le dimensioni dell'universo attraverso i quasar è divenuta
realtà. A sperimentare per primi questa nuova via sono stati alcuni
astronomi del Niels Bohr Institute di Copenhagen, fra i quali Darach Watson e Kelly Denney.
I quasar sono prodotti dall'intensissima radiazione emessa dalle
nubi di materia in caduta nei buchi neri supermassicci che albergano
al centro di gran parte delle galassie. Si tratta di un fenomeno
transitorio che può ripetersi più volte nella vita di una galassia,
ed è osservabile con maggiore frequenza nell'universo più lontano e
quindi più giovane, dove l'evoluzione delle galassie è più vivace ed
è quindi più frequente il transito di nubi di materia in prossimità
del buco nero centrale.
Il sospetto che potesse esistere una relazione fra le dimensioni
delle nubi e la luminosità dei quasar è cresciuto nel tempo, ma solo
ora la strumentazione ha permesso a Watson e colleghi di raccogliere
dati abbastanza precisi sulle masse delle nubi per verificare che
effettivamente quel valore è legato alla luminosità dei quasar.
In altre parole, ogni volta che si riesce a misurare la massa della
materia in caduta verso il buco nero supermassiccio di una
determinata galassia, è possibile calcolare la luminosità assoluta
del quasar che ospita, e dalla luminosità apparente risalire alla
distanza con una precisione superiore a quella determinabile col
tradizionale metodo delle supernovae.
L'unica limitazione della nuova soluzione è chiaramente quella di
dipendere dalla conoscenza della massa della nube che cade verso il
buco nero, ma con i telescopi delle prossime generazione la
determinazione di quel valore sarà sempre più facile e quindi il
nuovo metodo potrà essere applicato con crescente frequenza. |