Dal momento che sul nostro
pianeta gli agenti geologici, idrologici e atmosferici sono piuttosto efficienti
nel cancellare le tracce degli impatti asteroidali avvenuti nel
lontano passato, per stimare quanti se ne sono verificati si prende
come metro il livello di craterizzazione della Luna e si contano gli
asteroidi con orbite potenzialmente pericolose, estrapolando il loro
numero a ritroso nel tempo.
Si aggiunge però ora una terza via, molto promettente, che sfrutta la
presenza di particolari sferule all'interno di strati rocciosi, non
necessariamente prossimi ai luoghi d'impatto. Quelle sferule
risultano essersi formate a seguito della vaporizzazione di roccia,
avvenuta a seguito della caduta di grandi asteroidi. Non appena
l'elevata temperatura derivante dall'impatto si riduce
sensibilmente, il vapore di roccia si condensa in piccole sfere di
circa 1 millimetro di diametro, che solidificandosi ricadono a terra
ed entrano a far parte dei sedimenti geologici. Nell'immagine qui
sopra ne vediamo un esempio in un campione roccioso di 2,63
miliardi di anni fa, ritrovato nell'ovest dell'Australia.
Due ricercatori della Purdue University (Indiana, USA), Jay Melosh e Brandon Johnson,
sono riusciti a mettere in relazione dimensioni e quantità delle
sferule in un determinato strato di roccia, con le dimensioni e la
velocità dell'asteroide che le ha prodotte, il tutto adattando
modelli matematici nati per interpretare la condensazione del vapore
acqueo.
Grazie al nuovo metodo è stato possibile raccogliere informazioni su
impatti avvenuti fra 3,5 miliardi e 35 milioni di anni fa, scoprendo
eventi causati da asteroidi di ben 40 km di diametro, quindi tre
volte più grandi di quello che 65 milioni di anni fa portò
all'estinzione dei dinosauri e di moltissime altre specie animali.
by Michele Ferrara |
credit: Oberlin College - Bruce M. Simonson |
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