Una delle più grandi sorprese
fatte ai ricercatori dalla sonda Dawn durante i primi mesi di
missione attorno all'asteroide Vesta è sicuramente quella che
riguarda la presenza di un gigantesco rilievo che si erge per quasi
21 km (nella foto). Una vera anomalia se pensiamo che il nostro Everest è più
piccolo di 2,5 volte e che il più grande monte del sistema solare si
trova su Marte ed è alto 27 km.
Ma la cosa più interessante non è il fatto che una montagna di 21 km
stia su un corpo planetario di appena 530 km di diametro, quanto
piuttosto che quella struttura sembra essere il luogo di origine
delle numerose meteoriti cadute sulla Terra. Nel corso degli anni
sono state infatti trovate analogie spettroscopiche fra la
composizione chimica
di Vesta e quella di varie meteoriti rinvenute al suolo in epoche
diverse e in certi casi persino viste cadere (ottobre 1999, Bilanga
Yanga, Africa; ottobre 1960, Millbillillie, Australia).
L'individuazione ora da parte di Dawn di un'enorme montagna che per
la sua conformazione risulta essere stata creata da un impatto
asteroidale, rende fiduciosi i ricercatori sul fatto che proprio
quell'evento possa essere alla base dell'espulsione di una gran
quantità di frammenti della superficie di Vesta, parte dei quali
sono poi caduti sul nostro pianeta sotto forma di meteoriti.
Per mettere in relazione i due eventi, un gruppo di ricercatori della
UCLA guidati da Chris Russell (Dawn Principal Investigator) procederà ora alla datazione dell'impatto
su Vesta attraverso una valutazione del tasso di craterizzazione
attorno alla montagna. Ciò è possibile perché l'impatto ha
cancellato i crateri preesistenti e da quelli formatisi in seguito
su quell'area è possibile valutare il tempo trascorso.
Una volta
datato l'evento, si confronterà l'epoca con quella dedotta dallo
studio radioattivo delle meteoriti recuperate sulla Terra e si
incroceranno i dati. Se così operando si riuscirà a mettere in relazione le due cose,
bisognerà poi capire perché quelle esotiche meteoritei sono in realtà così insolitamente
numerose.
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by Michele Ferrara & Marcel
Clemens |
credit: NASA |
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