Da quando nel 1995 il telescopio
spaziale Hubble produsse una delle sue profondissime immagini
dell'universo in banda visibile, di quella stessa regione celeste si
iniziarono a prendere immagini anche in altre bande dello spettro
elettromagnetico, al fine di identificare le controparti ottiche di
oggetti (essenzialmente galassie) che emettevano luce invisibile
all'occhio umano.
In questo ambito fu condotta nel 1998 una ricerca a lunghezze d'onda
submillimetriche (oltre il confine dell'infrarosso) che svelò la
presenza di una brillantissima galassia non registrata da Hubble
(foto qui sopra) e
che fu catalogata come HDF850.1 (traducibile in: il primo oggetto
scoperto alla lunghezza d'onda di 850 micrometri nell'Hubble Deep
Field).
Da allora qualunque tentativo di misurare la distanza di quella
insolita galassia era stato vano, ma si era intanto appurato che la
forte luminosità nel submillimetrico era dovuta a un'iperproduzione
di nuove stelle, stimata in circa 850 unità all'anno, quando invece
in una galassia normale come la nostra le nuove stelle che si
formano in un anno si contano con una mano. Dalla luminosità e dal
ritmo di produzione stellare era stato calcolato anche un valore
indicativo della massa: circa 130 miliardi di masse solari (più meno
la metà della nostra galassia).
Ma ora i ricercatori sono riusciti ad avere anche una stima
attendibile della distanza di HDF850.1, e ciò misurando lo
spostamento verso il rosso della luce emessa dalle nubi di gas
molecolare che non possono che abbondare in un ambiente dove nascono
in continuazione nuove stelle. Il valore trovato è sorprendente:
12,6 miliardi di anni luce, il che significa che quella galassia si
trova ad appena 1,1 miliardi di anni dal Big Bang. E' un'ulteriore
conferma del fatto che anche in epoche così remote esistevano
galassie massicce e molto attive, interessate da eventi
collisionali, perché solo una collisione fra galassie può aver
scatenato l'iperattività di HDF850.1.
by Michele Ferrara |
credit: STScI/NASA/F. Walter (MPIA), NRAO |
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