l'Astrofilo dicembre 2011 - page 16

COSMOLOGIA
ASTROFILO
l’
scere della distanza. Se
possiamo misurare l’in-
tensità di quella luce,
sapendo che è una lam-
padina da 60 Watt pos-
siamo calcolare quanto
è lontana, e ciò fino a
quando riusciamo a ve-
derla. Se il nostro tele-
scopio è abbastanza po-
tente da rilevare la sua
luce sulla Luna, allora
possiamo misurare la di-
stanza della Luna.
Anche per le sorgenti
astronomiche possiamo
sempre misurare la lu-
minosità apparente, il
problema è conoscere
la luminosità intrinse-
ca: è di 60 Watt o di 60
gigawatt? Un oggetto
celeste può quindi es-
sere usato come indica-
tore di distanza se abbiamo un metodo per
misurare la sua luminosità intrinseca.
I più celebrati di tutti gli indicatori di distanza
sono le variabili Cefeidi. Queste stelle, molto
massicce e luminose, mostrano una relazione
ben definita fra la loro luminosità intrinseca
e il loro periodo di variazione: quelle che va-
riano più lentamente sono più luminose.
Quindi, se una variabile Cefeide viene osser-
vata in una galassia diversa dalla nostra per
un periodo di tempo sufficiente a determi-
nare la sua curva di luce, allora è possibile de-
rivare la sua luminosità intrinseca.
Non rimane poi che misurare la luminosità
apparente (la magnitudine) per trovare la di-
stanza della Cefeide e quindi della galassia
che la ospita. È così che Edwin Hubble per
primo misurò la distanza della galassia di An-
dromeda (M31). Sebbene le stime della di-
stanza delle Cefeidi si siano estese oggi fino
a raggiungere galassie come M100 nell’am-
masso della Vergine, lontana circa 60 milioni
di anni luce, questo è ancora troppo poco per
i cosmologi. Distanze maggiori richiedono
oggetti molto più brillanti delle Cefeidi.
Fino a ieri, gli oggetti più brillanti che po-
tevano essere usati per stimare le distanze
erano le supernovae di tipo
Ia
. Si ritiene in-
fatti che il picco di luminosità di quelle esplo-
sioni abbia sempre lo stesso intrinseco, asso-
luto valore. Poiché le supernovae possono
essere osservate anche in galassie molto lon-
tane, sono state usate per estendere il range
delle distanze stimate su scale di rilevanza co-
smologica. La scoperta dell’espansione acce-
lerata dell’universo è avvenuta grazie alle
supernovae di tipo
Ia
.
Ora però, astronomi del Niels Bohr Institute
hanno dimostrato che anche i quasar possono
essere usati come indicatori di distanza. Que-
sti sono fra gli oggetti più luminosi dell’uni-
verso (circa 100 volte più brillanti di una su-
pernova di tipo
Ia
) e pertanto possono essere
osservati a distanze enormi, offrendo l’occa-
sione di usarli per misurare la geometria
dell’universo su larga scala.
Ma come possiamo trovare la luminosità in-
trinseca di un quasar e usarla come metro co-
smico? La risposta è in una tecnica chiamata
“reverberation mapping” e per capire come
funziona dobbiamo prima capire come fun-
zionano i quasar.
Un quasar non è altro che una galassia con
un buco nero supermassiccio al suo centro.
La tremenda emissione luminosa di un qua-
sar è originata dall’elevato quantitativo di
U
na serie di
quasar foto-
grafati dal tele-
scopio spaziale
Hubble. Una delle
cause dell’attiva-
zione di un qua-
sar può essere la
collisione fra due
galassie. In quel
caso possono ve-
nire “accesi” i nu-
clei di entrambe
le galassie. [NASA]
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